Giacomo Del Po

Giacomo Del Po

Nasce a Roma nel 1652 e muore a Napoli il 15 novembre1726); è stato un pittore e incisore  del periodo tardo barocco.

Giacomo compì la sua prima educazione col padre Pietro a Roma, dove divenne membro dell’Accademia di San Luca nel 1674, e dove a dire del De Dominici frequentò il Poussin, per passare poi nel 1683 a Napoli, dove visse stabilmente tranne dei soggiorni a Roma e forse a Firenze. Nella città partenopea, dove inizialmente gravitò nell’orbita del marchese Del Carpio – come scrive N. Spinosa (Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Electa Napoli ed., Napoli 1986) nella sua introduzione all’artista, corredata da una discreta selezione delle sue opere e dalla specifica bibliografia — si accostò nell’ultimo decennio ai modi pretiani del Solimena di quegli anni, alleggerendone però le composizioni colla sua personale cifra stilistica, contrassegnata da forme fluttuanti di vivace raffinatezza e da inconfondibili fisionomie.

Tutte pitture di straordinario effetto decorativo, quali gli affreschi del Palazzo del marchese di Positano, di Santa Teresa degli Studi, del Palazzo di Maddaloni, di San Gregorio Armeno, di San Domenico Maggiore, di Santa Caterina a Formiello, del Palazzo Casamassima, e vari altre. Dell’ultimo periodo, in cui il Del Po portò le sue soluzioni compositive a una luminosità sempre più rischiarata e brillante — cosi da aver fatto supporre una cognizione di opere di S. Ricci, a Roma o Firenze — dipinse delle tele, su incarico di Eugenio di Savoia, per i soffitti di tre saloni del Belvedere a Vienna (1723).

Giacomo dal Po fu un pittore che seppe sviluppare con viva personalità una basilare matrice tardo cortonesca, con dinamismo espositivo e una lievitata scioltezza pittorica, sempre con singolari tipologie nelle sue affollate inventive, inquadrate però sempre con un equilibrio compositivo, assimilato chiaramente alla luce dei principi classicistici imposti a Roma dal caposcuola Maratti.

Esaminando il suo catalogo, assai variato per soggetti — trascrisse in pittura anche episodi di celebri poemi come il Paradiso Perduto di Milton, oppure dell’Eneide, parallelamente a scene profane quali decorazioni di soffitti di palazzi — e sempre caratterizzato da un’impronta figurativa di gusto neomanieristico, che attinge forse al Cinquecento parmense con effetti che ricordano il genovese Gregorio De  Ferrari, e che probabilmente si avvalse anche della cognizione di fonti straniere, soprattutto fiamminghe, di certo fruibili a Napoli.